RESIDUI DI SPARO

I residui dello sparo (GunShot Residues) sono particelle formatesi in seguito alla scarica di un’arma da fuoco, dovuta all’esplosione della cartuccia. Si tratta di particelle di forma sferica, dal diametro di pochi µm, che hanno una composizione elementale standard. I GSR sono il frutto sia delle polveri formatesi al momento dell’esplosione della cartuccia, ma anche dei frammenti dell’arma stessa. Tali polveri al momento dello sparo fuoriescono da ogni apertura dell’arma da fuoco, principalmente dall’apertura della canna (volata) e dall’otturatore, il che spiega la presenza di questi ultimi in quantità rilevanti sulle mani del tiratore. La maggior parte dei GSR, tuttavia, in seguito alla detonazione, si deposita sulla superficie del target, con una concentrazione di particelle per pixel che diminuisce secondo una legge esponenziale in funzione della distanza di tiro. Analizzando, dunque, le polveri prelevate dalle mani e dagli abiti di un sospettato e comparandole con il campione rivenuto sul target è possibile raccogliere informazioni che possono rivelarsi decisive per l’indagine. L’analisi e la caratterizzazione di tali residui diventano quindi cruciali in ambito forense.

L’American Standard and Testing Materials ha stilato un protocollo per l’analisi dei GSR tramite il microscopio elettronico a scansione SEM, che insieme alla sonda EDS (o EDX, energy dispersive X-Ray spettroscopy), permette di conoscere la composizione elementale di tali particelle.

In particolar modo, vengono definite GSR le particelle micrometriche che contengono particolari combinazioni dei seguenti elementi: piombo Pb, antimonio Sb, bario Ba principalmente, ma anche calcio Ca, silicio Si, zolfo S, stagno Sn. Nel lavoro di Wolten et al. del 1979. viene proposta una prima classificazione di tali particelle: definiamo uniche o caratteristiche le particelle riconducibili esclusivamente alla scarica di un’arma da fuoco; mentre definiamo consistenti le particelle che potrebbero essere ricondotte allo scoppio di un’arma da fuoco, ma possono avere anche sorgenti differenti: come ad esempio gli scarichi industriali e delle automobili. Le particelle uniche, in base al lavoro di Wolten, sono caratterizzate dalla seguente composizione elementale:

· Pb, Sb, Ba; - Ba, Ca, Si con tracce di S; - Ba, Ca, Si con tracce di Pb se Zn e Cu sono assenti, - Sb e Ba.

Tale distinzione si basa su fatto sperimentale che  tali particelle provengono esclusivamente dalla scarica di un’arma da fuoco, mentre risultano essere assenti nei residui raccolti in corrispondenza di attività industriali e non che prevedono l’uso di composti contenenti Pb, Ba e Sb. Ai composti sopra menzionati si aggiunge una nuova combinazione di elementi proposta da Zeichner e Levin  che identificano come caratteristiche le particelle contenenti: · Pb, Ba, Ca, Si e Sn e che risultano essere prodotte da due particolari tipi di cartuccia (9mm e 7.65mm Sellier Bellot).

Sono invece consistenti le particelle binarie contenenti: · Pb e Ba; · Pb e Sb. La natura e la provenienza degli elementi che le costituiscono può essere compresa analizzando i meccanismi che si innescano al momento dello sparo. La cartuccia è il complesso di carica, bossolo, capsula e proiettile, costituente il colpo completo per le armi da fuoco portatili, per le mitragliere e per le artiglierie di piccolo e medio calibro a tiro rapido .La cartuccia consiste in un involucro (cartridge case), un primer a percussione, un propellente e il proiettile .

Il calibro della cartuccia si riferisce al diametro del foro dell’arma usata.

Il bossolo, spesso lasciato sulla scena del crimine, è particolarmente importante poichè da una analisi dei segni impressi su di esso si può risalire all’arma usata. Generalmente i bossoli sono di ottone e talvolta possono presentare una copertura di nichel o nichel e cobalto che può aiutare nell’identificazione, in quanto tali materiali possono essere incorporati nei GSR.

I GSR possono anche essere raccolti dal bossolo e dalla base della cartuccia. Nell’aiutare l’identificazione, concorrono anche il marchio di fabbrica impresso sull’involucro della cartuccia. Il proiettile è spesso usato per identificare il tipo di arma da fuoco, osservando, in particolare, le rigature presenti su di esso formatesi al momento dell’espulsione è possibile trovare una corrispondenza con l’arma utilizzata. Tali solchi sono, infatti, il risultato di rigature (“vuoti” e “pieni”) presenti all’interno della canna che hanno il compito di raddrizzare la direzione del proiettile. La dimensione del proiettile, la sua forma e quella 10 delle rigature sono tutti elementi che contribuiscono all’identificazione dell’arma.

Il proiettile in genere è formato da piombo Pb puro, o da piombo e antimonio Sb, ricoperto con rame Cu o Ottone (lega di Cu e Zn). Il propellente è un composto chimico che riempie la maggior parte del volume della cartuccia. Attualmente tali propellenti sono conosciuti come “smokeless powder” e appartengono a due categorie: - una prima tipologia contenente prevalentemente nitrocellulosa come esplosivo - un secondo tipo contenente sia nitrocellulosa che nitroglicerina. La composizione del primer varia ampiamente.

La maggior parte delle volte contiene esplosivi come lo stifnato di piombo. Quando il cane aziona il percussore, quest’ultimo urta la capsula d’innesco, contenente la composizione innescante. Dall’urto che ne segue si genera una fiamma che brucia i gas presenti all’interno della cartuccia. La temperatura e la pressione passano dai valori standard a 1500-2000 °C e 104 kPa in 0.1 ms. L’esplosione del primer accende la carica costituente il propellente causando la sua deflagrazione e l’aumento di pressione e temperatura fino a valori di 3x105 kPa e 3600 °C rispettivamente. L’onda di pressione che si crea spinge il proiettile fuori dalla cartuccia e gli conferisce l’energia cinetica necessaria a rompere la saldatura che lo lega. La direzione del proiettile è regolata da una serie di rigature (“pieni” e “vuoti”) presenti 11 all’interno della canna stessa.

A partire dagli anni 50, il fulminato di mercurio è stato sostituito da un primer non corrosivo e privo di mercurio No Corrosive No Mercury primer (NCNM). La presenza dello stifnato di piombo, del nitrato di bario e del solfuro di antimonio spiega il successo dell’analisi dei GSR mediante il microscopio elettronico a scansione

Sebbene siano state provate diverse tecniche per l’analisi dei GSR, tra cui la Neutron Activation Analysis1 (NAA) e la Spettroscopia di assorbimento atomico2 , la più diffusa risulta essere la Microscopia elettronica a scansione (SEM) associata ad uno Spettrometro a dispersione di energia (EDS).

Quest’ultima tecnica, la cui prima applicazione in ambito forense risale agli anni ’70, risulta essere largamente accettata per le sue caratteristiche: -è una tecnica d’indagine non distruttiva; -risulta essere ampiamente disponibile e accessibile; -grazie ai moderni software, consente di avere i risultati in tempi brevi (poche ore per cm2 ). Tuttavia, la SEM-EDS non è in grado di rilevare informazioni utili su particelle molto piccole, che possono rivelarsi decisive per l’indagine in quanto difficili da eliminare. Per ovviare a questa difficoltà è possibile ricorrere ad una nuova tecnica: la IBA, Ion Beam Analysis.

Questa tecnica di analisi, molto sensibile, si basa sul bombardamento del campione con un fascio focalizzato di protoni. In seguito all’interazione protone-materia, si ha l’emissione di raggi X caratteristici che permettono di risalire alla caratterizzazione elementale del campione.

Analogamente alla tecnica SEM, è possibile rilevare tutti gli elementi dal carbonio all’uranio. La tecnica PIXE possiede alta sensibilità di rivelazione: per i campioni sottili, il limite di rivelabilità (Minimum Detection Limit, MDL) può arrivare a frazioni di nanogrammo su centimetro quadrato (ng/cm2 ); per i campioni spessi, il limite può arrivare ai ppm o ai ppb, a seconda della natura del campione. Questa tecnica non danneggia e non distrugge il campione in analisi, che può quindi essere riutilizzato per ulteriori indagini con altre tecniche (cromatografia ionica3 , SEM, microscopia elettronica a trasmissione TEM, spettroscopia Raman, ecc.).

Le due tecniche, quindi, SEM-EDS e µPIXE, possono essere usate in maniera del tutto complementare. Nel seguito entrambe le tecniche verranno analizzate nel dettaglio. In ambo i casi, la tecnica non si presta alla determinazione certa dello sparatore, quanto piuttosto è utile a identificare se un soggetto (o un oggetto) sia stato investito dalla nube di particelle residue dello sparo e quindi si trovasse ragionevolmente vicino allo sparatore o al punto di fuoco.

Inoltre, nell’interpretazione dei risultati va sempre considerata la possibilità di contaminazione accidentale (transfer secondario) dovuta al contatto con superfici diverse dall’arma stessa su cui si siano depositati GSR in seguito all’esplosione di cartucce.